IL TRENO VA A MOSCA
Federico Ferrone, Michele M. Nel 1957 Alfonsine è un paesino della Romagna dalla spiccata propensione al comunismo, pieno di cooperative e animato dal mito dell’Unione Sovietica è permeato da una popolazione a grande maggioranza socialista. Alcuni di questi, tra cui dei cineamatori, riescono a partire per un clamoroso viaggio nella sognata Unione Sovietica, occasione per l’epoca più unica che rara, specie per chi non vive in un centro grande e non ha possibilità economiche di livello, da cui torneranno con 40 rullini di Super8 impressionati. Tra i viaggiatori c’è Sauro Ravaglia, barbiere che decenni dopo mette a disposizione di due cineasti non solo i suoi ricordi ma anche il suo archivio d’immagini dell’epoca. Ha un doppio scopo Il treno va a Mosca: da una parte mette in scena attraverso il montaggio un materiale di repertorio a suo modo unico e prezioso, riprese che oscillano tra la Romagna, l’Unione Sovietica e l’Algeria degli anni ’60, materiale amatoriale di sorprendente interesse e acume visivo; dall’altra racconta una storia di crollo della fiducia in un’ideologia che precorre i tempi, prefigurando la grande disillusione del sogno comunista che si concretizzerà (anche in Italia) qualche decennio dopo.